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IL SEGRETO DI LUCA

[Articolo della rivista STILE arte n. 135]

di Roberto Gramiccia
STILE arte

I quadri recenti di Padroni liberano un’assoluta spontaneità espressiva inscritta entro una dialettica degli umori e degli amori che è ormai chiara nella parabola creativa di questo artista inquieto.

Se c’è una cosa che apprezziamo in arte è il coraggio. Il coraggio di fare tutta la vita lo stesso quadro, come fece Morandi. O quello di cambiare radicalmente strada come fece Duchamp. L’importante è essere autentici e andare alla ricerca della qualità.
Ecco una cosa di cui nessuno parla più: la qualità. “Pittura di valori” si diceva una volta, oggi questa espressione è scomparsa e la qualità in pittura è diventata un optional. Semmai a interessare è la grancassa mediatica, la spettacolarizzazione dell’arte, l’artificioso chimismo che produce una notorietà da perseguire a tutti i costi.
Una delle fissazioni più comuni (oltre all’ansia di arrivare subito) che serpeggia fra le fila dei giovani artisti in particolare è quella della riconoscibilità. Come se fosse indispensabile trovare un marchio di fabbrica, una griffe, un’araldica in grado di renderti inconfondibile. Si capisce che questa ossessione è figlia dei tempi della mercatizzazione della vita materiale e immateriale, della creatività, della politica, della religione persino.
Luca Padroni è un giovane artista romano (è nato nel 1973) che ha saputo dribblare come un giocatore brasiliano tutti questi ostacoli. La sua stella polare è stata sin dall’inizio la qualità, parlo dell’intenzione prima ancora degli esiti. Un’intenzione preceduta non a caso dagli studi in scuole prestigiose (l’University College di Londra e l’Art Institute College di Chicago). In questo suo andare alla ricerca della qualità, questo giovane pittore si dimostra all’antica. Perché non cerca scorciatoie. Anzi a volte si complica la vita. Cambiando completamente registro linguistico e, apparentemente, ricominciando da capo.
Oltre dieci anni fa Padroni iniziò con una figurazione palpitante e nevrotica che pescava nelle atmosfere cittadine di una metropoli sui generis. Questa metropoli è Roma, insieme uguale e diversissima dalle altre capitali del mondo. Caotica e dispersiva, ma anche irripetibile, unica, incomparabile. Le inquadrature pittoriche quasi cinematografiche di Luca che, ancora giovanissimo, girava la città schizzando sul suo taccuino scorci di paesaggi, come facevano i vecchi viaggiatori dell’arte, rivelano insieme il suo talento e il suo essere preso totalmente da Roma (Via Giolitti del 1999, Piazza dei Cinquecento del 2000, Bin Bon ndah! Di ni tai chi! del 2001).
Ad uscirne fuori sono appunti di viaggio metropolitani freschi e autentici che alludono, oltre che alla Scuola di Londra (Bacon, Kitaj) o all’Espressionismo astratto americano (De Kooning) come qualcuno ha scritto, alle atmosfere romane del tardo Ziveri (quello dei tram degli anni Cinquanta) e ancora di più alle acrobazie prospettiche e alla spontaneità visionaria di Ennio Calabria o al virtuosismo grafico di Vespignani. Rimandi a quella Nuova Figurazione troppo presto archiviata ed erroneamente schiacciata su realismi politicamente schierati.

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